sabato 14 giugno 2008

La sfera e il circolo


Fin dai tempi più antichi, i filosofi hanno fatto largo uso non solo dei cosiddetti numeri sacri (unità, dualismi, triadi, tetradi, ecc.), ma anche di figure geometriche, per rappresentare in una metafora spaziale concetti altrimenti sfuggenti e difficili da afferrare.

Le figure geometriche servono, come è ovvio, solo per avvicinare il lettore filosofico alla soglia del concetto, il quale, di per sé, non è un oggetto spaziale, e dunque non si lascia facilmente fissare in linee. Tra le molte immagini a cui si è variamente ricorsi (punti, rette, triangoli, cerchi, ellissi, ecc.), forse le più importanti sono due, che cercano di rappresentare la medesima situazione, cioè l’essere, in due modalità differenti.

Della prima immagine si può chiamare a testimone Parmenide, il quale, secondo il frammento trasmesso da Simplicio, dichiarò che l’essere «compiuto è perfettamente da ogni parte, alla massa comparabile di ben rotonda sfera, che dal mezzo preme parimente in ogni dove». Per ragioni assai complesse, che hanno appassionato i filologi in ogni tempo, la «verità ben rotonda» gli si presentava nella forma di una sfera, perfettamente chiusa e uniforme, oltre cui si stendeva la follia della doxa e del non essere: immagine, come si può intendere, imprecisa come ogni immagine che voglia elevarsi alla dignità del pensiero, giacché anche la sfera ha i suoi limiti, e dunque conferisce essere e verità a ciò che la eccede: cosa che notò agevolmente Hegel, nelle sue lezioni sulla storia della filosofia, per concludere che «l’immagine non è affatto coerente».

La seconda figura geometrica, evocata modernamente per rappresentare l’essere, è quella del circolo, che, come si sa, si trova argomentata con ampiezza nella filosofia di Hegel e, seppure in forma diversa, nella filosofia dello spirito di Croce. E non vi è dubbio che Hegel avrebbe potuto ripetere alla propria metafora le medesime obiezioni che aveva rivolto a Parmenide, poiché anche il circolo non esprime esattamente la concezione dialettica della realtà, e non a caso è stato spesso sforzato nella diversa immagine della spirale, che si ripete bensì, ma crescendo su di sé e oltre di sé.

La differenza tra le due immagini, che entrambe, ripeto, intendono rappresentare la totalità di ciò che è, dovrebbe stare nel fatto che, mentre la sfera è immobile e ferma in sé stessa, il circolo è semovente, e, pur ripetendo e riaffermando eternamente la propria struttura, si include nel proprio movimento. Per questo, si dice, l’immagine del circolo è dialettica, mentre quella della sfera non lo è.

A ben vedere, però, la differenza tra le due figure è meno netta di quanto, a prima vista, potrebbe sembrare. L’immagine del circolo dovrebbe rappresentare, nel medesimo movimento, l’idea della ripetizione (ossia dell’identità della propria struttura) e quella del progresso (cioè della differenza tra sé e sé). Nel Breviario di estetica, per esempio, Croce affermò che il circolo delle forme significava la realtà stessa del progresso: in esso, scrisse, «niente si ripete salvo la forma dell’accrescimento». Senonché, quella forma che si ripete, e che dunque si conserva identica a sé stessa, immobile e inalterata, non è altro che la realtà, cioè la stessa forma dell’essere: e ciò che progredisce (che non si ripete), che si muove e si altera, è poi niente altro che la dimensione empirica, che le stesse filosofie del circolo considerano apparente e irreale.

Dunque, il circolo somiglia fin troppo alla sfera di Parmenide: ferma e ben rotonda, come la verità, che si ripete senza sopportare alterazioni e movimento.

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