domenica 3 agosto 2008
Incarnazione dell'Anima Vivente
I Quattro cerchi
Per la filosofia dell'arte alchemica esistono quattro cerchi da colmare prima di giungere alla consapevolezza dell'Essere androgino (il Lapis). La vita spirituale consiste nel riempire i quattro involucri di coscienza e di perforarli, uno dopo l'altro, attraverso le modalità mentali della cognizione (rappresentate da Diana), e l'azione corporea creativa finalizzata al godimento amoroso, estetico e spirituale (Apollo). Non occorre ritirarsi in un monastero per giungere alla meta. Anzi. La vita di relazione è il primo campo di battaglia in cui l'eroe deve affrontare le prove dell'incarnazione dei sentimenti corporei in Anima. Delusioni, amarezze e fallimenti rappresentano i tre gradi della "kènosi laica" capaci di sciogliere e far evaporare definitivamente le emozioni (acquee) collegate alla sfera psichica, come la neve al sole.
a) primo cerchio: incarnazione dell'Anima Vivente (Jiiva*) nel corpo fisico
* "Il Jiva è l'anima vivente che esercita l'attività nel mondo del relativo. Secondo le tendenze acquisite compie le azioni buone e non buone, raccogliendone i frutti. Essa va e viene sperimentando i diversi corpi...questa guaina fatta di conoscenza, passa attraverso gli stati di veglia, sogno e sonno, provando piacere e dolore" (Vivekacudumani, sutra 187)
L'incarnazione dell'Anima avviene sviluppando le qualità della consapevolezza di sé. Non è vero che siamo tutti dotati di "Anima Vivente". Lo dimostra il fatto che percepiamo corpi freddi, ostili, privi di vitalità e di amore, non perché siano privi di esperienza, ma per il fatto di non essere stati in grado di elaborare le emozioni primarie per mezzo delle abilità mentali descritte simbolicamente da Apollo e Diana.
L'albero filosofale
La mente intuitiva (Diana/la Regina) e la creatività corporea (Apollo/il Re), i due agenti primari artefici dell'incarnazione dell'Anima Vivente, sviluppano insieme 5 gradi di trasformazione artistica della pulsione psichica (le emozioni corporee irrazionali rappresentate spesso dall'immagine del lupo) in consapevolezza di sé (il leone rosso), gli stessi elencati dall'albero filosofale pubblicato da Samuel Norton nel 1630
1. La soluzione (Solutio) dell'emozione ostile si traduce in consapevolezza-specchio
2. La calcinazione (Calcinatio) dell'arroganza si traduce in consapevolezza dell'identità
3. L'illazione (Hylatio) sull'attaccamento egocentrico si traduce in consapevolezza della distinzione
4. La separazione (Separatio) dai sentimenti di gelosia si traduce in consapevolezza del raggiungimento
5. La consapevolezza dell'infatuazione (e quindi dell'illusione) sancisce la definitiva consapevolezza di essere l'Anima incarnata nel corpo e di esprimere la voce dell'anima attraverso il Corpus (l'Animus junghiano) .
L'ostilità è una emozione che introduce una divisione dove non ce ne sono e la sua associazione con l'astrazione percettiva (Diana), e cioè la capacità di riconoscere le somiglianze e soprattutto le differenze fra i particolari sensibili, mostra che essa cova all'interno delal "percezione categoriale". Ti sono ostile perché ti percepisco "fuori" dalla mia categoria, classe, ceto o livello. La consapevolezza -specchio rivela la mia faccia e mi fa vedere cose che non vorrei ammettere, prima fra tutte la mia naturale tendenza a essere ostile a priori, verso chiunque non appartenga alla mia razza, cultura, status, bellezza o intelligenza.
L'arroganza è l'inflazione dell'ego. La calcinazione richiede una precisa volontà di eliminarla drasticamente.Nel tipo paranoide essa sviluppa deliri di grandezza; nel tipo schizoide porta a un masochistico perfezionistico. La calcinazione di questo sopravvalutato senso di sé porta a una consapevolezza dell'identità dell'essenza, per cui non mi riconosco nell'ego, ma nella gioia che segna la dissoluzione dei rigidi confini posti tra sé e gli altri.
L'attaccamento è amore accentrato su un bisogno, in cerca di gratificazione e per questo motivo dipendente da qualsiasi cosa o persona che prometta di gratificare il bisogno. Quando si mette in dubbio la reale natura di un amore si compie una Illazzione (Hylatio), atto necessario che conduce alla consapevolezza dell'unicità intrinseca di ciò che viene percepito. Vedere qualsiasi cosa e persona simultaneamente con tutti i loro attributi e considerarle necessarie le une alle altre , significa conferire alla percezione maggiore validità.
La gelosia è l'intolleranza verso qualsiasi rivale si frapponga al possesso o al raggiungimento di ciò che si considera di proprietà strettamente personale. La separazione consiste nel comprendere che la gelosia è legata al tentativo di sostenere il proprio ego e la sua identificazione con successi e insuccessi. Separararsi dalla gelosia significa separarsi da questa forma di ego. L'identificazione con l'ego distoglie la persona dal compito di diventare se stessa (il Lapis).
L'infatuazione è una reazione che si pone completamente al di fuori del contesto di una situazione, poiché si focalizza in modo selettivo su un solo aspetto e ignora e dimentica tutto il resto. Siamo attratti dalla luce abbagliante di un solo "petalo", mentre l'anima è in grado di amare e desiderare chi si manifesta in tutti i suoi "petali". Le fantasie e le infatuazioni servono a compensare la perdita di consapevolezza. La fine dell'infatuazione e dell'illusione non solo ripristina la vitalità del corpo, ma porta anche alla consapevolezza dell'Essere in quanto Essere (la vita dell'anima).
venerdì 27 giugno 2008
I principi scientifici della filosofia alchemica
Nella sua forma più immediata, scevra da ogni elaborazione filosofica o spirituale del concetto, il Se è un meccanismo automatico di selezione delle immagini, dei segni e dei simboli che sono necessari all'anima psichica per evolvere all'interno del corpo in coscienza di sé.
Dal punto di vista neuropsicologico è chiamato il "filo del Se" il collegamento esistente tra la ghiandola dell'ipotalamo e la ghiandola pineale, responsabile del processo di selezione delle frequenze di luce in grado di avvertire la presenza di un elemento pericoloso per la sopravvivenza o favorevole allo sviluppo materiale o sociale dell'individuo. Il Se è una facoltà naturale dell'individuo che privilegia la percezione all'azione e che agisce non sulla base di ragionamenti o schemi preordinati dalla razionalità organizzatrice, ma sulla percezione attiva delle necessità del tempo presente.
I bisogni, le necessità e i desideri si manifestano attraverso sensazioni, emozioni e sentimenti corporei che stimolano l'individuo all'azione. La consapevolezza di ciò che si prova all'interno di se stessi, sviluppata attraverso l'azione della propriocezione, è il principio generatore dell'anima. Nelle società civili stabilizzate, libere dai problemi della sopravvivenza della specie, l'anima prende il sopravvento e crea le premesse per il miglioramento del confort, la nascita dell'arte e l'evoluzione dei costumi sociali.
E' facile intuire che in questa forma di società, modellata dagli individui più sensibili alle esigenze dell'anima, evolva una forma di coscienza collettiva influenzata dal Se psichico, e cioè dalla capacità naturale della percezione femminile e artistica di selezionare gli elementi più gratificanti dal punto di vista estetico ed edonistico.
La "coscienza psichica primaria", fortemente modellata dal bisogno di gratificarsi con la bellezza, l'eros e l'agiatezza economica, è sempre stata antagonista alla coscienza di gruppo e alla morale di riferimento per il suo carattere di alterità morale, anticamera del libertinaggio e degli eccessi che spingono alla consumazione di baccanali e di feste dionisiache. La coscienza psichica è una espressione latente sia nell'individuo che nella società: i sacrifici si accettano per essere conformi alle regole, mentre si procastina la soddisfazione dei bisogni unicamente in vista di un bene più elevato.
Appare evidente che il senso di felicità materiale sia strettamente connesso al libero "funzionamento" del Se psichico e cioè della capacità dell'anima di selezionare con lo sguardo gli oggetti, le forme o i colori che più appagano il "sistema omeostatico" dell'organismo. L'azione, anche ormonale o sessuale, provoca infatti un continuo sbilanciamento dell'energia vitale dal suo asse centrale, chiamata dagli alchimisti orientali con il termine Sushumma. La deviazione eccentrica dell'energia subconscia dal centro della colonna vertebrale, provoca l'insorgere del bisogno di riequilibrare lo status biopsiconeurologico alterato dal movimento. A livello fisico lo sguardo inizia così a ricercare il "cibo" e l'energia necessaria per riportare l'omeostasi nell'organismo.
Il "Sistema di controllo omeostatico" dell'organismo è qualcosa che viene prima della coscienza individuale modellata dalla morale di gruppo. L'alchimista orientale sperimenta nell'Hatha Yoga lo straordinario potere dell'energia magnetica collocata alla base della colonna vertebrale di riportare in equilibrio l'organismo alterato dalla presenza di condizioni proibitive per la sopravvivenza come la mancanza di cibo, di aria e di temperatura. Ciò significa che il corpo possiede una propria coscienza attivata automaticamente dall'energia magnetica, arteficie di tutti i meccanismi psichici di controllo e modificazione dei processi di metabolizzazione e conservazione dell'energia vitale indispensabile alla sopravvivenza. La coscienza corporea attivata dall'energia magnetica è il fondamento della "scienza e della filosofia del Sè "
Ciò significa che la consapevolezza di "cosa" cerchiamo con lo sguardo (percezione psichica consapevole) porta alla luce la comprensione delle motivazioni che hanno alterato il sistema di controllo omeostatico dell'organismo. Questo semplice meccanismo di autoavvertimento psichico cognitivo, descritto meravigliosamente dalla vicenda mitologica di "Leda e il Cigno", ha la capacità di espandere non solo la conoscenza di noi stessi, ma anche del mondo in cui viviamo. Percepire la realtà attraverso il "filo del Se" espande la "coscienza del Sè", considerato dagli alchimisti la Persona divina che vive dentro di te, come Te.
Se pensiamo a Cristo come una concreta incarnazione della "coscienza del Sè" all'interno del nostro modo di pensare, possiamo comprendere il significato autentico delle parole del Vangelo, poiché "amore e discriminazione di giudizio" sono i prodotti naturali di un differente "metabolismo spirituale" dell'ego. All'interno di questa logica di liberazione delle potenzialità spirituali connesse al "risveglio" all'energia magnetica (la Madre di Cristo), è evidente che la razionalità su cui si fonda l'ego appare un ostacolo, un limite e un vincolo.
Il Golgota dell'Ego segna quindi il passaggio iniziatico a un nuovo modo di vedere la Realtà umana. All'interno della pupilla dipinta da Bosch appare il simbolo dell'Amore Universale concepito dagli alchimisti: un cigno nutre la prole del proprio sangue a significare la necessità spirituale del "sacrificio dell'anima", per sua natura costretta a offrire il "sangue" per mantenere l'equilibrio omeostatico del mondo. Allo stesso modo esiste un legame di "sangue" tra l'energia magnetica della Madre e la coscienza del Figlio, così come esiste un "patto di sangue" tra Dio (l'etere) e l'uomo in cui opera la "coscienza del Sè".
Anche gli alchimisti occidentali praticavano e studiavano la "scienza e la filosofia del Sè". Gli artisti rinascimentali erano spesso impegnati a rappresentare in chiave allegorica, non diversamente da Dante, i processi di modificazione della Materia Psichica (la pietra grezza) nella Coscienza creativa attivata dal filo del Se (l'Elixir), fino alla scoperta della "Coscienza del Sè" (la Pietra Filosofale)
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sabato 14 giugno 2008
Morte di Dio e della Materia
25. L’uomo folle. – Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”.
E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran confusione.
Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini?
Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa?
Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense.
“Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”.
Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”.
FRIEDRICH NIETZSCHE, La Gaia scienza
La sfera e il circolo
Fin dai tempi più antichi, i filosofi hanno fatto largo uso non solo dei cosiddetti numeri sacri (unità, dualismi, triadi, tetradi, ecc.), ma anche di figure geometriche, per rappresentare in una metafora spaziale concetti altrimenti sfuggenti e difficili da afferrare.
Le figure geometriche servono, come è ovvio, solo per avvicinare il lettore filosofico alla soglia del concetto, il quale, di per sé, non è un oggetto spaziale, e dunque non si lascia facilmente fissare in linee. Tra le molte immagini a cui si è variamente ricorsi (punti, rette, triangoli, cerchi, ellissi, ecc.), forse le più importanti sono due, che cercano di rappresentare la medesima situazione, cioè l’essere, in due modalità differenti.
Della prima immagine si può chiamare a testimone Parmenide, il quale, secondo il frammento trasmesso da Simplicio, dichiarò che l’essere «compiuto è perfettamente da ogni parte, alla massa comparabile di ben rotonda sfera, che dal mezzo preme parimente in ogni dove». Per ragioni assai complesse, che hanno appassionato i filologi in ogni tempo, la «verità ben rotonda» gli si presentava nella forma di una sfera, perfettamente chiusa e uniforme, oltre cui si stendeva la follia della doxa e del non essere: immagine, come si può intendere, imprecisa come ogni immagine che voglia elevarsi alla dignità del pensiero, giacché anche la sfera ha i suoi limiti, e dunque conferisce essere e verità a ciò che la eccede: cosa che notò agevolmente Hegel, nelle sue lezioni sulla storia della filosofia, per concludere che «l’immagine non è affatto coerente».
La seconda figura geometrica, evocata modernamente per rappresentare l’essere, è quella del circolo, che, come si sa, si trova argomentata con ampiezza nella filosofia di Hegel e, seppure in forma diversa, nella filosofia dello spirito di Croce. E non vi è dubbio che Hegel avrebbe potuto ripetere alla propria metafora le medesime obiezioni che aveva rivolto a Parmenide, poiché anche il circolo non esprime esattamente la concezione dialettica della realtà, e non a caso è stato spesso sforzato nella diversa immagine della spirale, che si ripete bensì, ma crescendo su di sé e oltre di sé.
La differenza tra le due immagini, che entrambe, ripeto, intendono rappresentare la totalità di ciò che è, dovrebbe stare nel fatto che, mentre la sfera è immobile e ferma in sé stessa, il circolo è semovente, e, pur ripetendo e riaffermando eternamente la propria struttura, si include nel proprio movimento. Per questo, si dice, l’immagine del circolo è dialettica, mentre quella della sfera non lo è.
A ben vedere, però, la differenza tra le due figure è meno netta di quanto, a prima vista, potrebbe sembrare. L’immagine del circolo dovrebbe rappresentare, nel medesimo movimento, l’idea della ripetizione (ossia dell’identità della propria struttura) e quella del progresso (cioè della differenza tra sé e sé). Nel Breviario di estetica, per esempio, Croce affermò che il circolo delle forme significava la realtà stessa del progresso: in esso, scrisse, «niente si ripete salvo la forma dell’accrescimento». Senonché, quella forma che si ripete, e che dunque si conserva identica a sé stessa, immobile e inalterata, non è altro che la realtà, cioè la stessa forma dell’essere: e ciò che progredisce (che non si ripete), che si muove e si altera, è poi niente altro che la dimensione empirica, che le stesse filosofie del circolo considerano apparente e irreale.
Dunque, il circolo somiglia fin troppo alla sfera di Parmenide: ferma e ben rotonda, come la verità, che si ripete senza sopportare alterazioni e movimento.
mercoledì 11 giugno 2008
Eraclito
Eraclito, convinto che la vita e la realtà tutta nascessero e fossero possibili solo attraverso un gioco di contrapposizioni perenni, indicò come principio del tutto il fuoco, perché il fuoco vive secondo un continuo cangiamento e una trasformazione che tutto coinvolge. " Col fuoco si permutano tutte le cose e il fuoco con tutte, così come con l'oro si scambiano le merci e le merci con l'oro", afferma Eraclito, chiarendo che lo sviluppo dinamico dovuto al fuoco portatore di tutte le opposizioni, si concreta in una "via in su" e in una "via in giù".
Nel percorso "in giù" il fuoco in parte si condensa e si trasforma nelle acque marine le quali danno anche origine alla terra; dal mare e dalla terra asalano umidi vapori che diventano nuvole le quali avvampano nel fulmine e quindi ritornano al fuoco seguendo la "via in su". In questo immane gioco cosmico, nonostante le continue trasformazioni, la qualità del fuoco rimane sempre costante.
La condizione del divenire cosmico non è però solo l'opposizione, ma anche l'identità dei contrari dato che, dice Eraclito in un celebre frammento "dentro di noi è una stessa cosa il vivo e il morto, e lo sveglio e il dormiente, e il giovane e il vecchio". La legge della realtà è quindi eterna, costante opposizione e reciproca identificazione perché "la guerra è di tutte le cose padre, di tutte le cose re" ed è ben stolto colui che pensa di poter fare cessare la discordia tra gli dèi e tra gli uomini.
Questa visione di una realtà perennemente diveniente nonostante qualche apparenza in contrario, viene riassunta da Eraclito nella celebre affermazione "tutto scorre, anche gli uomini" (panta rei, kai àntropoi) e nell'aforisma in cui sostiene che non possiamo immergerci due volte nelle stesse acque del fiume che fluisce continuamente.
La logica del divenire eracliteo potrebbe far pensare che, in definitiva il filosofo di Efeso valorizzi il continuo cangiamento e gli eventi e le cose che si succedono l'una all'altra in un perenne fluire, dove nessuna realtà e nessun valore hanno quel significato definitivo e ben saldo che in fondo i pensatori aristocratici come Pitagora, e poi Parmenide, andavano cercando. Ma l'intenzione più profonda di Eraclito è prorpio questa e, nonostante l'immagine tumultuosa dell'incessante divenier, egli nei suoi frammenti, egli nei suoi frammenti dice abbastanza chiaramente che il saggio, l'uomo d'intelletto, il quale sdegna la compagnia e la frequenza della volgare moltitudine, sa ben cogliere in se stesso il senso preciso e unitario che si nasconde dietro il tumulto e lo svariare continuo della vita.
Questa realtà profonda, raggiungibile solo dalla vista intellettuale, è per Eraclito il "logos", principio di ordine e di armonia dell'universo, nascosto nella mente dei più che, come egli sostiene, si comportano da sordi e da ciechi e credono nelle futilità accidentali degli accadimenti comuni.
Il divenire quindi, ci offre un'esperienza di contrasti e di incoerenti contraddizioni che certo non possono costituire l'ordine universale. Tale ordine va invece ritrovato ad un livello superiore come intrinseca armonia e ricomposizione cge dà un senso alle contraddizioni; così come una strada è in discesa o in salita a seconda del punto di vista del viandante, oppure come la tensione dell'arco, che nel contrasto del legno piegato e la tensione della corda riesce a scagliare esattamente la freccia, tutta quantas la realtà vive di contrasti necessari alla vita, appunto secondo l'ordine voluto dal logos che è Pensiero, o Zeus, ma non quello onorato nei templi dal volgo.
Il sapiente soltanto può raggiungere questa verità del tutto celata ai più, i quali appunto usano del loro scarso intelletto per soffermarsi su particolari insignificanti e si illudono di aver conquistato definitive vittorie che non potranno mai essere tali.
L'unico oggetto degno di ricerca è il logos il quale sta a significare appunto che il tumulto della vita si deve pur sempre placare nella visione intellettuale dell'armonia dei contrari, che non sono altro che facce opposte di una medesima realtà.
"Nel medesimo fiume non è possibile entrare due volte, né toccare due volte sostanza mortale nella medesima condizione: ma per la veemenza e la rapidità del cambiamento si dissolve e di nuovo si riunisce, o meglio: né di nuovo, né più tardi, ma contemporaneamente si raccoglie e si disperde, si avvicina e si allontana"
"Sebbene questa ragione (universale) sia sempre presente negli uomini, essi non se ne rendono conto, né prima di averla ascoltata, né dopo. Tutto accade secondo questa ragione: eppure essi, ogni volta che si provano, con parole o con atti del tipo di quelli di cui mi sto occupando, a distinguere nella natura una cosa dall'altra e a dire come ciascuna è, si comportano da inesperti. Ma la maggioranza degli uomini, anche da svegli, non hanno piena coscienza di ciò che fanno, allo stesso modo come non l'hanno quando dormono.
Una volta nati, desiderano vivere ed andare incontro al loro destino di morte: o piuttosto al riposo; e mettono al mondo figli, in modo che altri destini di morte si compiano.
La maggior parte degli uomini non comprendono queste cose quando si incontrano con esse, e non le conoscono neanche quando le imparano, anche se a loro sembra il contrario.
Una sola cosa gli uomini migliori preferiscono a tutte le altre: antepongono la gloria eterna alle cose caduche. I più pensano solo ad ingozzarsi come bestie.
Quest'ordine universale che è sempre lo stesso per tutti, non è stato fatto da qualcuno degli dèi o degli uomini, ma è sempre stato, è e sarà fuoco sempre vivo, che si accende e si spegne secondo giusta misura."
Hendrick ter Brugghen
HERÁCLITO DE ÉFESO
Di passaggio
Tautò tèni zon kài
tethnekós kai egregoròs
kai kathèudon kai nèon kai
gheraiòn tade gàr
metapésonta ekéina ésti
kakèina pàlin táuta.
(Eraclito, Frammenti, 88)
[È la stessa cosa, che è viva e morta,
che è desta e dormiente, che è giovane
e vecchia. Queste cose infatti,
ricadono nel mutamento in quelle,
e quelle viceversa in queste.]
Passano gli anni,
i treni, i topi per le fogne,
i pezzi in radio,
le illusioni, le cicogne.
Passa la gioventù,
non te ne fare un vanto:
lo sai che tutto cambia,
nulla si può fermare.
Cambiano i regni,
le stagioni, i presidenti, le religioni,
gli urlettini dei cantanti...
e intanto passa ignaro
il vero senso della vita.
Si cambia amore, idea, umore,
per noi che siamo solo di passaggio.
L'Informazione, il Coito, la Locomozione.
Diametrali Delimitazioni,
Settecentoventi Case.
Soffia la Verità
nel Libro della Formazione.
Passano gli alimenti,
le voglie, i santi, i malcontenti.
Non ci si può bagnare
due volte nello stesso fiume,
né prevedere i cambiamenti di costume.
E intanto passa ignaro
il vero senso della vita.
Ci cambiano capelli, denti e seni,
a noi che siamo solo di passaggio.
Eipas 'Hêlie khaire'
Kleombrotos Hômbrakiôtês
hêlat' af' hupsêlu
teikheos eis Aidên,
axion uden idôn thanatu
kakon, alla Platônos
hen to peri psukhês gramm' analexamenos.
(Callimaco, Epigrammi, XXIII)
[Dicendo; "Addio sole!"
Cleombroto d'Ambracia
da un alto muro
si gettò nell'Ade.
Non gli era capitato alcun male
che fosse degno di morte;
aveva solo letto
uno scritto di Platone:
quello intorno all'anima.]
Battiato
PLOTINO
Di fronte alle vicende del mondo travagliate dalla violenza, dal dolore e dalla morte, Plotino nel III libro delle Enneadi cerca di dimostrare che le cose sono soltanto “apparentemente” dolorose, ma che nella economia generale dell’universo tutto è disposto secondo un piano razionale e quindi accettabile anche dalla mente umana.
Per quanto concerne il mutuo intreccio delle cose, c’è da restare perplessi per il divorarsi degli animali tra loro, per le reciproche insidie che si tendono tra loro gli uomini e per il fatto che la guerra dura eterna e non lascia mai posto alla tregua ed all’armistizio; tanto più si resta incerti di fronte alla domanda: è veramente il disegno razionale del mondo che ha creato una situazione simile? E si deve veramente dire che tutto questo è ben fatto? Coloro che fanno simili domande non si ricordano più del ragionamento per cui tutto sta bene nel quadro generale delle possibilità, mentre responsabile di queste situazioni particolari è la materia e non è possibile che i mali non esistano.
Così appunto bisognava che stessero le cose ed è bene che esse stiano così
, e a materia si è trovata inserita nel contesto in forza del disegno razionale generale. Dunque razionale è il principio e razionale è tutto quello che nasce dal principio. Ma che cos’è allora questa fatale guerra che imperversa inesorabile sia tra gli animali che tra gli uomini? Ecco: il mutuo divorarsi è espressione della necessità di avvicendamento tra i viventi, i quali, anche se nessuno gli uccidesse, non potrebbero rimanere in eterno nel loro stato. Ed ecco che, mentre abbandonano una determinata condizione di vita, lo fanno lasciando posto ad altri […]. Che cosa c’è mai di temibile in questo avvicendarsi degli animali l’uno con l’altro? Per ciascuno comunque è meglio così che se fosse per nulla venuto all’esistenza […].
In realtà, invece, la vita domina pienamente nell’universo e continua a creare e si viene diversificando nell’ambito del vivere e non smette mai di creare […].
Ma quanto alle armi che gli uomini incrociano gli uni con gli altri, in schiere ben ordinate, esse si dicono che le sollecitudini umane non sono altro, prese in blocco, che un gioco di bambini e i dicono che la morte non ha nulla di pauroso, giacché anzi ill morire in guerra e in battaglia non è che un breve anticipo di ciò che inesorabilmente avviene nella vecchiaia; più presto si parte e iù presto si torna! E se nella vita ti saranno tolti i tuoi beni, avrai così occasione di riconoscere che essi non ti appartenevano nemmeno prima; ma anche per chi viene in possesso di quello che ha tolto ad altri il possesso è una burla, perché altri sono già pronti a depredarli a loro volta; del resto, anche ammettendo che costoro non vengano spogliati dei beni, il possesso di essi è cosa peggiore che l’esserne derubati.
Come sui palcoscenici dei teatri, così bisogna guardare alle uccisioni ed a ogni genere di morte ed alla conquista delle città ed ai saccheggi; tutto è come un mutare di scena ed un cambiare dei costumi; anche le lagrime e i lamenti sono finti. Quaggiù nelle vicende della vita, infatti, non è l’anima umana intima, ma solo quella esterna che è un’ombra che piange e si lamenta, mentre gli uomini vengono creando le loro finzioni dappertutto sul palcoscenico che è la terra tutta intera […].
Esiste un posto per ciascun uomo: l’uno si adatta al buono, l’altro al cattivo; entrambi, secondo quanto è disposto nel disegno razionale, si avviano a questo o quel luogo; poi ognuno recita ed agisce; l’uno si esprime in discorsi malvagi ed in malvage azioni; l’altro il contrario; ma prima ancora della rappresentazione del dramma, gli attori, nel prestare la loro persona, avevano già la loro natura buona o malvagia. Nei drammi scritti dall’uomo il poeta assegna le parti da recitare; ma gli attori , per loro conto, recano ciascuno la loro interpretazione buona o cattiva; nella più vera creazione poetica che è l’universo, attrice è l’anima, e recita la parte che le è stata assegnata dal poeta-demiurgo; come gli attori di quaggiù ricevono le maschere, i costumi – siano tuniche d’oro o miserabili cenci - , così da parte sua l’anima riceve e non a caso i suoi beni (ed anche questi corrispondono al disegno razionale); adattandosi a questi, giunge ad una armonia ed a un coordinamento di se stessa con l’opera che è nello stesso tempo dramma e concetto razionale dell’universo. […] Il disegno razionale del mondo è precisamente un tutto unito che si suddivide in parti ineguali ; perciò sono differenti i luoghi dell’universo: ce ne sono di migliori e di peggiori; e le anime, che sono diseguali, si ambientano in quelli corrispondenti e cioè in posti diseguali ; anche quaggiù i poti sono diseguali, come sono diseguali i suoni di un flauto rispetto a quelli di un altro; e così si indica per qualsiasi strumento. Le anime risiedono in posti tali per cui ognuna si distingue dall’altra; e tuttavia, dal posto diverso per cui si trovano, fanno sentire il loro canto, che è all0unisono con i rispettivi posti e con il tutto. Anzi ciò che in esse è dissonanza, può rientrare in un ambito di bellezza in ordine al tutto, e quello che pare contro natura, risulta conforme alla natura per il tutto. Proprio come il boia, per cattivo che sia, non disonora una città bene amministrata; in una città ci vuole anche il boia; ed anche il boia, pertanto, sta bene al suo posto […]. Nell’universo vi è anche uno sviluppo per cui alle azioni malvage seguono altre azioni;, anche qui vale il disegno razionale del tutto. Per esempio, da un adulterio, da un ratto con violenza di armi, la natura chiama all’esistenza dei bimbi e fa di essi degli uomini che forse saranno migliori dei loro padri; e in luogo delle città distrutte nascono nuove città più fiorenti di prima.
Plotino, Enneadi, III Libro
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